USURA OGGETTIVA NEI CONTRATTI DI MUTUO.

GLI INTERESSI MORATORI CONCORRONO ALLA DETERMINAZIONE DEL T.E.G.

di Michele Calise (riproduzione vietata)

Il tema dell’usura oggettiva nei contratti di mutuo è di forte attualità. Il ricorso massiccio al credito degli ultimi anni, unito alla depressione economica attuale, ha richiamato l’attenzione dei giuristi sulla liceità delle operazioni di finanziamento bancario.

In particolare nell’ambito dei contratti di mutuo la sentenza n. 350/2013 emessa dalla Corte di Cassazione – I Sez. Civ – ha dato la stura a molte azioni giudiziarie e alle conclusioni più disparate da parte delle Autorità giudiziarie adite.

La sentenza del Tribunale di Udine – II Sez. Civ. – del 26.09.2014 cerca di rendere chiarezza in materia, ripercorrendo l’evoluzione normativa e giurisprudenziale dell’istituto dell’usura oggettiva ed, in particolare degli interessi usurai, partendo dalla sentenza n. 350/2013 della Cassazione. Il provvedimento richiamato, infatti, prevede che tutte le remunerazioni richieste al cliente dalla banca, a qualsiasi titolo, vanno considerate ai fini del calcolo del tasso d’interesse, dunque anche gli interessi di mora.

La l. 108/1996, infatti, dispone: “per la determinazione del tasso d’interesse usuraio si tiene conto delle commissioni, delle remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all’erogazione del credito” (art. 1, comma 1).

La l. 24/2001 (di conversione del d.l. n. 394/2000), in quanto legge d’interpretazione autentica della l. 108/1996, ribadisce: “ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p. (delitto di usura) e dell’art. 1815, comma 2 c.c. (interessi usurai) s’intendono usurai gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”.

Dopo una dettagliata cronistoria delle principali decisioni del Giudice di legittimità (sentenze n. 5286/2000, n. 14899/2000, n. 5324/2003, n. 602 e 603/2013) che precedono la più nota sentenza n. 350/2013, ma già improntate ad affermare il principio della concorrenza degli interessi moratori alla determinazione del T.E.G. (tasso effettivo globale) di un contratto di mutuo, e dopo il richiamo alla sentenza n. 29 del 25.02.2002 della Corte Costituzionale, che ha chiarito che il riferimento agli interessi a qualunque titolo convenuti - contenuto nel D.L. n. 394 del 2000 (Interpretazione autentica della legge 7 marzo 1996, n. 108, recante disposizioni in materia di usura), e precisamente dell’art. 1, comma 1 - rende plausibile l'assunto secondo cui “il tasso soglia riguarda anche gli interessi moratori”, la sentenza del Giudice udinese entra nel vivo delle questioni più dibattute: il calcolo del tasso effettivo globale di un mutuo ed il superamento della soglia d’usura oggettiva stabilito dalla legge (108/1996).

Innanzitutto si chiarisce che il Tasso Effettivo Globale (T.E.G.) annuo rappresenta un indicatore sintetico e convenzionale di costo con il quale si esprime, in misura percentuale, il costo totale di un Finanziamento e risponde all’esigenza, sorta in ambito comunitario, di tutelare la Trasparenza nelle operazioni di Finanziamento, in particolar modo per le Operazioni di Credito al Consumo (Consiglio 87/102/CEE e 90/88/CEE, D.M. 7.8.1992).

In particolare, l’indicatore sintetico di costo T.E.G. esprime, in forma percentuale, l’effettiva portata economica delle condizioni o, meglio, delle obbligazioni contrattuali del Finanziamento, consentendo al Cliente una valutazione completa dello stesso ed un agevole confronto con gli altri Finanziamenti proposti sul Mercato, senza limitare la valutazione dei prodotti offerti sul Mercato ad una singola voce di costo (es. T.A.N.  tasso nominativo annuo degli interessi corrispettivi).

Successivamente si precisa che il tasso soglia è stabilito in funzione della natura e tipologia del credito (mutuo, leasing, apertura di credito, ecc.) e non della natura del tasso praticato (corrispettivo, moratorio, ecc.) ed è strutturato sulla fisiologia, non sulla patologia del rapporto. Per questo, visto che la mora attiene ad una fase eventuale e critica del finanziamento, la Banca d’Italia non deve rilevare anche il tasso medio di mora praticato dal mercato nelle sue periodiche rilevazioni.

Contrariamente la mora assurgerebbe ad una specifica categoria del credito, oltre a determinare una soglia specifica più alta rispetto all’ordinario costo del credito, innalzando il limite della soglia d’usura col crescere del rischio e vanificando le tutele per il consumatore introdotte dal legislatore del 1996.

Tuttavia le previsioni contrattuali in tema di mora devono comunque essere incluse nella verific empirica del rispetto dei limiti dell soglia d’usura.

Obiettivo della legge è, infatti, la fissazione di un’unica soglia delle remunerazioni del credito a qualunque titolo convenute, e dunque valutando insieme tutti gli interessi pattuiti, sia corrispettivi che compensativi o moratori, come si legge nella “Relazione Governativa di Accompagnamento” al D.L. 394/2000.

“In sostanza il sistema della legge l. 108/1996 non disconosce le diverse funzioni degli interessi di mora e degli interessi corrispettivi, nè ha inteso precludere la pattuizione di una penale nel caso di mancato pagamento. Vuole invece porre un limite, massimo e perentorio, entro il quale ricomprendere tutti i costi del credito, relativi ad ogni criticità e/o patologia presente o futura. Ogni pattuizione eccedente è considerata usura, ed in ciò si qualifica il presidio imperativo”.

Fissato il principio guida bisogna, però, escludere che per la verifica del tasso effettivo con il limite della soglia d’usura si debba procedere a sommare l’interesse corrispettivo all’interesse di mora. Ttale tesi, ampiamente sostenuta da tanti operatori improvvisati che non tengono conto che i due tassi si succedono, ma non si sommano, è pacificamente respinta dai Giudici di merito, sia in ambito civile (Tribunale di Brescia del 16.01.2014, Tribunale di Milano del 28.01.2014, Tribunale di Trani del 25.01.2014, Tribunale di Treviso del 14.04.2014, Tribunale di Napoli del 08.04.2014, Tribunale di Verona del 30.04.2014), che in ambito penale (Gip presso il Tribunale di Torino del 10.06.2014).

La verifica dell’usura, infatti, va condotta determinando il T.E.G. annuo concretamente pattuito, non i singoli tassi indicati in contratto, ma il costo del credito erogato “sia nello scenario del pieno rispetto del piano di ammortamento convenuto, sia in ogni possibile scenario nel quale, a seguito dell’inadempimento ad una o più scadenze, con l’applicazione del maggior interesse di mora ed a fronte del mutamento che avviene nel piano di rimborso, si modifica conseguentemente il tasso effettivo del credito erogato”.

Il tasso di mora non è in sè rilevante ai fini del raffronto con la soglia d’usura, ma è integra il tasso corrispettivo e concorre, assieme ad ogni altro costo, spesa e remunerazione, a determinare il costo effettivo del credito ai fini della verifica del superamento della soglia d’usura.

 La conseguenza dello sforamento del tasso soglia d’usura che consegue alla verifica del T.E.G. così determinato è l’applicazione dell’art. 1815, secondo comma c.c., che determina la gratuità del mutuo e l’obbligo del mutuatario di restituire il capitale senza interessi, secondo le scadenze convenute con la banca. 

 

 

IL NUOVO ART. 120 T.U.B. ED IL DIVIETO DI ANATOCISMO

Con la Legge si Stabilità 2014, dal 1°.1.2014, è operante la nuova disposizione legislativa che vieta l'anatocismo nei rapporti bancari.

di Francesco Mazzella (riproduzione vietata)

Con due distinte Ordinanze cautelari, emesse in procedimenti intrapresi da Associazioni di Consumatori ai sensi dell’art. 140 Codice del Consumo, la Sesta Sezione del Tribunale di Milano è intervenuta nella discussione relativa all’efficacia temporale della Legge n. 147/2013 (c.d. Legge di Stabilità 2014) ed, in particolare, in merito alla disciplina temporale del novellato II° comma dell’art. 120 T.U.B., che ha introdotto un espresso divieto di anatocismo nei rapporti bancari.

La nuova disposizione prevede che: «Il C.I.C.R. stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo in ogni caso che: a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori; b) gli interessi periodicamente capitalizzati (contabilizzati) non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale»”.

L’innovazione legislativa rispetto al previgente II° comma dell’art. 120 T.U.B. appare rilevante dal momento che, dapprima, la normativa consentiva la pratica dell’anatocismo, seppur nel rispetto delle “modalità e dei criteri” individuati dal C.I.C.R. e, comunque, a condizione di reciprocità della periodizzazione della capitalizzazione, derogando al divieto generale di cui all’art. 1283 c.c., mentre la nuova disposizione legislativa esclude qualsivoglia forma di capitalizzazione degli interessi passivi maturati.

In ordine all’immediata precettività dell’innanzi indicata disposizione normativa è sorto un contrasto dottrinale e gli Istituti Bancari hanno ritenuto, erroneamente, che la nuova disciplina fosse subordinata ad un intervento di normativa secondaria del C.I.C.R., pur previsto dal testo legislativo.

In proposito, i provvedimenti adottati dal Tribunale di Milano, valorizzando il tenore letterale della disposizione normativa e ricostruendo la voluntas legis del Legislatore, hanno escluso ogni forma di subordinazione della disciplina introdotta dalla c.d. Legge di Stabilità 2014, ritenendo la stessa in vigore sin dal 1°.1.2014 e censurando la condotta omissiva posta in essere dagli Istituto Bancari.

In particolare, con l’Ordinanza del 25.3.2015, la Sesta Sezione del Tribunale di Milano ha, espressamente, affermato che: “La disposizione in esame non può che leggersi, quindi, nel senso della rigorosa esclusione dell’anatocismo nei rapporti bancari, sulla base della mera interpretazione letterale, in forza della quale è difficile assegnare all’espressione <<gli interessi periodicamente capitalizzati non possono produrre interessi ulteriori>> significato diverso dall’esclusione dell’anatocismo; ciò anche alla luce della correlazione con il successivo periodo, che impone di calcolare gli interessi capitalizzati, ossia annotati in conto, esclusivamente, sulla sorta capitale>>.

La ricaduta economica dell’immediata precettività della disposizione in esame appare rilevante, dal momento che tutti i maggiori Istituti Bancari, attendendo, inutilmente, l’intervento regolamentare del C.I.C.R., hanno continuato a praticare l’anatocismo nei rapporti bancari, seppur nei limiti di cui al previgente art. 120 T.U.B. generando, per i rapporti debitori, interessi passivi che, sulla base della nuova normativa, possono essere ritenuti illegittimi, per la violazione del divieto introdotto dall’art. 1, comma 629, della predetta Legge n. 147/2013.

Allo stato, pertanto, i correntisti che, dal 1° gennaio 2014, hanno visto addebitarsi in conto corrente degli importi a titolo di interessi passivi determinati su una sorta capitale contenente la capitalizzazione degli interessi passivi precedentemente maturati hanno diritto alla rideterminazione del saldo di conto corrente, con l’eliminazione degli importi illegittimamente conteggiati in violazione dell’art. 120 T.U.B., come modificato dalla Legge di Stabilità 2014.

Ancora una volta gli Istituti Bancari, supportati da un parere emesso dalla Banca d’Italia, hanno posto in essere condotte non conformi agli obblighi di buona fede contrattuale, ai quali sono tenuti in virtù del principio di correttezza e buona fede nell’esecuzione dei contratti, espressione del dovere di solidarietà fondato sull’art. 2 della Costituzione Italiana, utilizzando comportamenti inadeguati all’attività professionale esercitata.

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